DIRITTO ALL’OBLIO

LA RIFORMA CARTABIA RAFFORZA LA TUTELA DEI DATI PERSONALI AGEVOLANDO LA RIMOZIONE DI CONTENUTI ONLINE

Con l’entrata in vigore della riforma Cartabia, l’iter per l’esercizio del diritto all’oblio dovrebbe (il condizionale in suolo italico è sempre d’obbligo) semplificarsi.

La novella sostanzialmente cristallizza un orientamento in realtà già ben radicato nella giurisprudenza della nostra Autorità Garante in tema rimozione di contenuti giudiziari dal web, stabilendo che l’assoluzione, la sentenza di non luogo a procedere e il decreto di archiviazione costituiscono “titolo per l’emissione di un provvedimento di deindicizzazione”.

In termini pratici quindi, l’interessato, ovvero il soggetto i cui dati siano oggetto di trattamento (nello specifico consistente nella conservazione e accessibilità delle informazioni giudiziarie che lo riguardano presenti fra i risultati dei motori di ricerca associati al suo nominativo) può chiedere che sia preclusa l’indicizzazione o che sia disposta la deindicizzazione, qualora già diffusi online, dei contenuti (generalmente le notizie di cronaca e i dispositivi delle pronunce) che rendano noti i propri dati giudiziari.

Il percorso formale prevede un passaggio dalla cancelleria del Giudice che ha emesso il provvedimento, presso la quale richiedere l’apposizione di una annotazione sul medesimo che specifichi, in base a quale dei due casi sopra menzionati si versi:

  • «ai sensi e nei limiti dell’articolo 17 del regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016, è preclusa l’indicizzazione del presente provvedimento rispetto a ricerche condotte sulla rete internet a partire dal nominativo dell’istante.»
  • «Il presente provvedimento costituisce titolo per ottenere, ai sensi e nei limiti dell’articolo 17 del regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016, un provvedimento di sottrazione dell’indicizzazione, da parte dei motori di ricerca generalisti, di contenuti relativi al procedimento penale, rispetto a ricerche condotte a partire dal nominativo dell’istante»

CANCELLARE E DEINDICIZZARE I DATI PERSONALI: DUE ESPRESSIONI DEL DIRITTO ALL’OBLIO DA NON CONFONDERE

Occorre fare chiarezza circa gli effetti tecnici che si possono legittimamente attendere in conseguenza dell’esercizio del diritto all’Oblio, posto che spesso (specie in ambito mediatico) si crea confusione usando come termini equivalenti “cancellare” e “deindicizzare”.

L’art. 17 GDPR è infatti rubricato “Diritto alla cancellazione – diritto all’oblio” e al paragrafo 1 pone una serie finita di presupposti al ricorrere dei quali l’interessato può richiedere che i propri dati personali siano, qui nel senso proprio del termine, cancellati.

Recita infatti il paragrafo 2 “Il titolare del trattamento, se ha reso pubblici dati personali ed è obbligato, ai sensi del paragrafo 1, a cancellarli, tenendo conto della tecnologia disponibile e dei costi di attuazione adotta le misure ragionevoli, anche tecniche, per informare i titolari del trattamento che stanno trattando i dati personali della richiesta dell’interessato di cancellare qualsiasi link, copia o riproduzione dei suoi dati personali.

Quindi il titolare, che potrebbe essere ad esempio una società che tratti i nostri dati a seguito della compilazione di un form online per l’inserimento in una newsletter di aggiornamento su una tematica, cui ci rivolgiamo esercitando il diritto all’oblio (nell’accezione più radicale del termine) dovrà attivarsi per cancellare dai propri database le nostre informazioni personali e informare eventuali altri titolari che stiano trattando quegli stessi dati (magari perché ceduti dalla società cui indirizziamo l’istanza) di procedere allo stesso modo.

La norma, correttamente per le ragioni che vedremo più avanti, stabilisce invece al paragrafo 3 l’inapplicabilità delle disposizioni dei paragrafi 1 e 2 qualora il trattamento sia necessario “per l’esercizio del diritto alla libertà di espressione e di informazione”.

La ratio risiede nel fatto che sarebbe inaccettabile nella società odierna eliminare in modo definitivo la memoria storica di fatti (in particolare quelli originati dal mondo dell’informazione) e opinioni (a patto ovviamente che per entrambi non si tratti di contenuti diffamatori o fake news prive di valenza fattuale) che si tradurrebbe in una forma di censura.

Al contrario la deindicizzazione di un contenuto online che afferisca ad un articolo di cronaca che ci riguarda, inibisce l’accesso immediato a tali informazioni da parte della collettività, sottraendolo dai risultati dei motori di ricerca associati al nostro nominativo, ma consente al contempo di non perderne la memoria storica poiché viene conservato all’interno del website che lo ha originariamente pubblicato.

In tale contesto la legittimità della richiesta di oblio, inteso come diritto a essere dimenticati in relazione a determinati fatti/informazione del nostro passato, è anzitutto subordinata al fatto che la news sia ormai priva di attualità (in ragione di un congruo lasso di tempo intercorso dalla sua pubblicazione e/o di fattori evolutivi della vicenda narrata) che di conseguenza si esaurisca l’interesse pubblico ad averne contezza e che dunque vengano meno le ragioni che ab origine legittimavano le finalità di trattamento (informazione/divulgaizone)

La valutazione di fondatezza di tale istanza da parte del titolare (cui l’art. 12 GDPR rimette in generale la decisione in merito ai diritti esercitati dall’interessato) nel caso in esame richiede inoltre un ulteriore fondamentale passaggio, estremamente delicato per via dei diritti antagonisti che entrano in gioco, entrambi di rilievo costituzionale.

Senza alcuna pretesa di esaustività, data la complessità del tema, vediamo in cosa consiste questa complessa valutazione

IL BILANCIAMENTO DEI DIRITTI: CRONACA E RISERVATEZZA

Tenedo a mente il caso in commento, ovvero contenuti online relativi a fatti di cronaca che riguradano l’interessato, va anzitutto rilevato che è difficile determinare in modo netto quando una news online non sia più di interesse pubblico (e quindi passibile di deindicizzazione).

Si impone in tal caso un contemperamento tra due interessi ugualmente meritevoli di tutela da parte dell’ordinamento giuridico.

Da un lato c’è il diritto di cronaca, imprescindibile in una società democratica. Dall’altro il diritto alla riservatezza di colui che ritiene che un determinato fatto possa essere rimosso dal web poiché ha esperito la sua finalità informativa.

Per ragioni di esemplificazione esplicativa possiamo fare questo esempio, che ci consente di dare applicazione concreta della riforma Cartabia in tema oblio (che come detto esprime sostanzialmente un orientamento già da tempo fatto proprio dal Garante italiano e in linea con le linee guida interpretative a suo tempo tracciate dal WP29 alla luce della nota sentenza Costeja).

Immaginiamo che un soggetto venga posto al centro di un massivo interesse mediatico, legato al suo coinvolgimento in un procedimento giudiziario.

Le ricerche online sul suo nominativo propongono massivamente contenuti di cronaca che hanno la finalità di informare la collettività che in quel momento storico il soggetto è sottoposto a indagini da parte della Procura.

Siamo nel 2018 e, come spesso ahimè accade, dopo mesi di attenzione mediatica elevata, cala progressivamente l’assiduità di aggiornamento sino a spegnersi.

L’attività giudiziaria nel frattempo prosegue sino a concludersi, l’anno seguente e in esito alle indagini preliminari, con un decreto di archiviazione in ragione della determinazione da parte del Pubblico Ministero di infondatezza della notizia di reato riportata dai media.

In conseguenza di ciò viene a determinarsi una condizione confliggente che vede il soggetto da un lato, sul web, staticamente associato a informazioni negative circa l’indagine subita e dall’altro, in giudizio (ovvero la sede preposta dall’ordinamento per la determinazione della effettiva responsabilità penale) la statuizione della sua assoluta estraneità a fatti di reato.

La permanenza e immediata accessibilità di tali contenuti tramite semplice digitazione del nominativo del soggetto lo espone quindi (in ragione del persistente trattamento dei suoi dati che vengono conservati dai motori di ricerca fra le pagine dei risultati) ad una persistente esposizione negativa di immagine, in relazione a informazioni che non sono allineate rispetto all’evoluzione giudiziaria.

In applicazione della normativa in commento, il soggetto potrà quindi legittimamente avvalersi del decreto di archiviazione quale titolo per richiedere che le news in commento (che in ogni caso medio tempore sono state consultate da un elvato numero di utenti stante la dinamica virale che contraddistingue il web) vengano deindicizzate, quindi tolte dai risultati che i motori di ricerca propongono agli utenti che effettuino ricerche sul parametro “nome + cognome”.

Tali informazioni, vere e di indubbia attualità ed interesse per il pubblico al tempo della loro pubblicazione, verranno conservate all’interno dei website delle testate giornalistiche (tutelando così il diritto di cronaca in allora legittimamente espresso) ma non andranno più ad indentificare il soggetto (con tutto ciò che consegue in termini di percezione reputazionale)  fra i risultati online riferibili al suo nominativo, tutelando così al contempo il suo diritto alla riservatezza.

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