Video sorveglianza e lavoro

Sempre più spesso si legge di interventi del Garante Privacy per gestire questioni aziendali legate alla tutela dei lavoratori soggetti a videosorveglianza sui luoghi di lavoro senza le dovute garanzie. A dare ancor più risonanza al tema, l’adozione delle ultime linee guida 3/2019 in materia di videosorveglianza che hanno introdotto modifiche e accorgimenti sugli adempimenti da effettuare. Per le aziende non conformi il rischio può andare dalle sanzioni amministrative previste dal GDPR a quelle penali secondo l’articolo 4 dello Statuto dei Lavoratori.

Sistemi di sorveglianza indiretti

Per quanto i sistemi di videosorveglianza siano il primo strumento di tracciamento che ci salta in mente, sono tantissimi i dispositivo tecnologici che possiamo trovare all’interno dell’ambiente lavorativo e che possono risultare addiritura più invasivi e scrupolosi.

Pensate, ad esempio, a tutti quei macchinari di produzione che per il monitoraggio e la verifica dei livelli di produttività dello stabilimento vengono attivati dal lavoratore che a inizio turno si logga con le sue credenziali. Questi dispositivi sono in grado di recepire e immagazzinare una miriade di informazioni, compresi dati personali.

Oppure ai sistemi GPS – geolocalizzazione satellitare dei veicoli aziendali, utilizzati per mappare gli autisti durante le consegne e capaci di rilevare in tempo reale la posizione del mezzo.

O ancora alle applicazioni di tracciamento installate sui tablet dei tecnici che intervengono per eseguire interventi o manutenzioni dai clienti.

Ai wearable devices (braccialetti o cavigliere elettroniche) in grado di interagire con l’ambiente e con gli altri strumenti dotati di intelligenza artificiale.

Potremmo continuare con molti altri esempi…

Va da sé che, anche se indirettamente e non come finalità principale, è possibile per i vertici aziendali verificare tutti i ritmi di lavoro del dipendente.

Resta valido il concetto che, fatte salve le disposizioni della legge 300/1970 che prevedono il divieto di monitorare i lavoratori anche in via accidentale durante le loro attività, è indispensabile per l’azienda avere un accordo con la rappresentanza sindacale o di autorizzazione da parte dell’Ispettorato Territoriale del Lavoro. Senza uno di questi requisiti, si finisce nell’illecito penale.

Quali sono gli aspetti privacy da considerare

Per poter usufruire di un qualsiasi strumento di monitoraggio del lavoro, il datore di lavoro è obbligato a rispettare i requisiti in materia di tutela dei dati personali che sono alla base del GDPR, ovvero che il controllo deve essere:

  • necessario per finalità determinate, esplicite e legittime, limitato nel tempo e mai massivo;
  • trasparente con informazioni preventive ai lavoratori sui limiti di utilizzo degli strumenti;
  • proporzionato, adottando forme di controllo non eccedenti alle finalità e minimizzando la quantità di dati raccolti;
  • fondato su una base giuridica correttamente individuata, come un obbligo di legge, contrattuale o un interesse legittimo del titolare;

A tutto questo vanno poi aggiunti i principi di privacy by design e by default che si sostanziano nell’esecuzione di una valutazione d’impatto specifica (DPIA):

  • realizzare soluzioni nel rispetto delle prescrizioni del Regolamento Europeo Privacy
  • dimostrare l’adozione di misure idonee per garantire la conformità alle prescrizioni della legge privacy.

Infine, ai sensi del principio di “Accountability” previsto all’art. 5.2 del GDPR, la DPIA è uno strumento che aiuta il Titolare a dimostrare l’effettiva protezione dei dati personali gestiti nello specifico trattamento.